di Salvo Barbagallo
Il Mediterraneo da tempo è stato stravolto, da tempo non è più la “culla della civiltà”, ma è stato trasformato in un mare dove, in un modo o in un altro, vengono alimentate guerre nei Paesi costieri e non. E non solo: il Mediterraneo che dopo la seconda guerra mondiale vedeva (in teoria) una Sicilia proiettata verso uno sviluppo industriale con la creazione del polo petrolchimico di Augusta, oggi si ritrova ad essere attraversato da migliaia e migliaia di migranti/profughi in cerca di un approdo di pace e solcato da decine di navi da guerra pronte a colpire i contrari. Augusta, esplosa nella sua incontrollata vitalità per la sua posizione geografica sulla rotta Suez-Gibilterra dove si registrava il maggior traffico del greggio proveniente dal Medio Oriente e dalla Russia, dalla facilità di approvvigionamento idrico e dalla grande disponibilità di manodopera a basso costo, alla fine ha prodotto morte nella collettività per i veleni sprigionati dalle raffinerie e, alla fine, oggi, non ha più il traffico delle petroliere che scaricavano greggio. Il porto e il territorio di Augusta si sono trasformati in una munitissima e pericolosa installazione militare, principalmente al servizio degli USA.
Il Mediterraneo oggi è un mare affollato, la Sicilia un’Isola che serve militarmente agli altri, da ieri e soprattutto ora fondamentale avamposto e trampolino di lancio per i raid aerei verso la Libia e i Paesi vicini.
La Libia, un vicino di casa negli anni trascorsi “comodo”, nel caos dopo la fine di Gheddafi. La Libia dove adesso ci sono le milizie del terrore jihadista in avanzata nella Sirte, che mettono a rischio anche gli impianti del gasdotto Greenstream (ENI) lungo 520 km che collega Bahr Essalam con la Sicilia (Gela) e, poi, con l’Italia. Un impianto posato a 1200 metri di profondità che trasporta 8 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Gli interessi dell’Italia vanno salvaguardati, ed ecco il premier Matteo Renzi sollecitare una leadership tricolore/biancarossaeverde in una coalizione che voglia intervenire militarmente in Libia. I preparativi sono già in atto, ignoto il momento in cui si darà il via all’evento. La Sicilia, in questo contesto, sta a guardare, non ha alcuna voce in capitolo mentre potrebbe avere il diritto di essere partecipe e non protagonista “passiva”, così come sta avvenendo, lasciando utilizzare il proprio territorio a fini militari senza avere posto alcuna condizione di contro cambio.
Franco Iacchi una settimana addietro sul quotidiano Difesa Online scriveva Il Pentagono starebbe valutando il rischieramento permanente di una forza navale nel Mediterraneo per far fronte alla crisi dei migranti ed in risposta alle maggiori capacità navali russe. E’ quanto trapela da Mosca, secondo indiscrezioni ottenute da fonti ufficiali della US Navy. Questa informazione sembra un paradosso, dal momento che sin dagli Anni Cinquanta gli Stati Uniti hanno schierata (con base l’Italia) la VI Flotta (la Sixth Task Fleet creata nel 1948), ricordando che la base della Naval Air Station di Sigonella è nata come supporto alla VI Flotta USA e che gli impianti del MUOS di Niscemi sono della Marina USA, così come l’installazione di Augusta. C’è da chiedersi cosa possa significare un ulteriore potenziamento dell’apparato bellico navale statunitense nel Mediterraneo. Va ricordato, inoltre, che ogni unità della U.S. Navy che entra nel Mediterraneo entra a far parte della Sesta Flotta dal punto di vista operativo. Nel 2003 essa comprendeva 40 navi, 175 velivoli (aerei ed elicotteri) e circa 21.000 militari e civili (ufficiali, sottufficiali, marinai, aviatori, personale tecnico e amministrativo). In quell’anno erano presenti due superportaerei con i relativi gruppi navali di supporto, ma normalmente ne è presente solo una. Nel 2013 è assegnata alla Sesta flotta la portaerei USS John C. Stennis (CVN-74) della classe Nimitz.
E’ la presenza del naviglio militare russo a innervosire gli americani? Oppure i motivi sono di altra natura? La risposta (che probabilmente non si avrà mai) forse è da ricercarla in Sicilia, dove gli statunitensi hanno “investito” miliardi di dollari nelle installazioni di Sigonella, Niscemi e Augusta.